Di Claudio Del Grande
Parto da Luceto, frazione di Albisola Superiore (SV), giovedì 5 aprile 2001.
Scopo del viaggio è raggiungere la Terra del Fuoco, la fine del mondo.
Uso una moto di 17 anni a cui risistemo il motore prima della partenza. Costruisco un paracolpi e un portapacchi con dei tubi di ferro riciclati qua e là. Le borse costano troppo quindi uso delle cassettiere da ufficio che fisso al portapacchi. Sul coperchio di una borsa fisso una tanica da 10 litri per la benzina. Il paracolpi fissato al telaio proteggerà il motore in caso di cadute. Legato ad esso fisso una tanica da 5 litri per l’acqua. Servirà come riserva per le lunghe distanze.
Non ho alcuno sponsor e nessun supporto a mio seguito. Del resto, se lo avessi avuto sarei partito con un mezzo meno improvvisato…
Nelle borse ho solo l’indispensabile. La tenda, sacco a pelo, fornello a benzina, vestiario, pochi ricambi ed alcuni pezzi di ricambio per la motocicletta. Legato al portapacchi aggiungo anche il peso di due gomme di scorta. In Russia è molto difficile reperire delle gomme dello stesso diametro delle mie.
La moto è molto pesante e inguidabile per i primi chilometri. Mantengo una media di 80 chilometri orari per non sforzare il motore e per godermi il paesaggio. Non ho alcuna fretta di arrivare.
Solo in Bielorussia entro in contatto con il vero viaggio, qui ci sono sostanziali differenze rispetto al nostro modello di vita, lo stato è ancora fortemente socialista.
Al contrario in Russia: la culla di questa filosofia politica sembra aver lasciato spazio al capitalismo più sfrenato e senza regole.
Nonostante queste differenze i due popoli si assomigliano molto: orgogliosi, ospitali e generosi.
Inizio a dormire quasi esclusivamente in tenda. Alla fine del viaggio saranno il 70% delle notti.
La tenda mi ha regalato momenti indimenticabili, la montavo nel mezzo del niente dove non mi mancava niente.
Sono stato ospitato molte volte a mangiare e dormire nei villaggi siberiani. L’ospitalità russa è sorprendente. Ogni membro del villaggio la sera veniva a casa del mio ospite per salutarmi.
Volendo avrei potuto fare a meno della tenda e chiedere ogni sera ospitalità a qualcuno. E’ quasi impossibile che venga rifiutata.
Non sono molti i chilometri che ho percorso ma alla moto ho già sostituito il cuscinetto della corona che si era frantumato .Non si trova niente per le moto quindi cambio l’olio usando quello per le macchine e registro le valvole ogni 12000 chilometri. Le prime strade sterrate mi hanno fatto saltare anche i paraoli della forcella.
La Russia è una nazione immensa, la più grande, il primo paese che incontri in Europa non sarà molto differente dall’ultimo in Asia. Ma non è monotona, tutt’altro. Le città sono maestose e con un “grande futuro”, quello che le renderà troppo simili alle nostre; perderanno il carisma che faticosamente conservano.
La transiberiana da modo, a chi la attraversa, di pensare quanto fossero dure e interessanti le esplorazioni che si avventuravano sempre più a est nel cuore della Siberia. Caldissima in estate e freddissima d’inverno. Con la bella stagione eserciti di zanzare danno il filo da torcere a chiunque.
Terra dove deportavano i dissidenti della ex Unione Sovietica. I morti sono stati approssimativamente sei milioni durante la presidenza di Stalin e successivamente.
La Kolima Highway, conosciuta come la strada delle ossa, quella dei deportati, mi ha giocato un brutto scherzo a circa 600 km da Magadan. Ho tentato di arrivare più a nord che mi fosse possibile. Nella terra degli Yakuts la strada inesistente mi costringe a risalire un fiume per 100 km a bordo di una chiatta, con un gregge di pecore quali compagni di viaggio. Ho ripreso la pista di terra, ma un ponte crollato a causa delle inondazioni, insieme al largo ma impetuoso fiume Kolima che scorre al di sotto mi hanno sbarrato la strada facendo crollare ogni possibilità di continuare. L’asfalto è un antico ricordo. Con le piogge le strade si trasformano in piste di fango dove camion stracarichi le solcano come se fosse burro. Ogni 20 chilometri sono costretto a oliare la catena e rimuovere il fango dalle alette di raffreddamento del cilindro. Il Nord è svanito, si ritorna a Sud, destinazione Vladivostok. Mi costerà circa 7000 km ma senza rimpianti.
La penisola Kamchatka nel nord-est era la base militare russa per eccellenza durante la guerra fredda, avrebbe dovuto scongiurare un eventuale invasione statunitense proveniente dall’Alaska. Gli stessi russi potevano entrare in questa penisola soltanto se erano residenti o con permessi speciali.
E pensare che l’Alaska è stata russa fino al 18 ottobre 1867 quando il Segretario di Stato statunitense William Steward la comprò per $ 7.200.000 cioè due centesimi per acro!
Allora fu una scelta criticata, oggi un immenso giacimento di petrolio.
In questa stagione non salpano navi per l’Alaska, non ho altre opzioni che prendere un volo.
La moto verrà spedita nello stesso aereo ad una cifra di $2,5 al chilogrammo.
Il salto di qualità dalla Siberia all’Alaska è spaventoso. Sono i prezzi che mi danno il capogiro.
Il prezzo di un panino vale come una camera d’albergo in Russia.
Raggiungo Prudhoe Bay sopra il circolo polare artico, il punto più in alto raggiungibile via terra nel continente americano.
Durante l’estate qui i fiumi pullulano di pescatori che decimano i gia decimati salmoni impegnati a risalire le forti correnti dei fiumi. Lo scopo: raggiungere le sorgenti dove deporre le uova e morire spossati. Si, le uova del Caviale. Incontrare orsi neri e bruni lungo la strada non è così inconsueto, infatti qui come in Canada i cassonetti dell’immondizia hanno aperture particolari per impedire agli orsi di impossessarsi degli scarti umani. Per loro sarebbe la fine se associassero l’odore dell’uomo con il cibo, dovrebbero essere abbattuti per pubblica sicurezza in quanto vedrebbero gli uomini come “bistecche che camminano”. I Grizzly sono maestosi, agili e veloci, vederli all’azione è impressionante.
Nel nord America gli animali più pericolosi sono gli alci, apparentemente innocui, di fatto molto aggressivi. I lupi? Troppo timidi, di solito sentivo soltanto il loro grido di libertà.
Da queste parti si vedono vecchie miniere abbandonate, attive all’inizio del XX secolo.
I panorami del Nord ricchi di ghiacciai e montagne mi hanno regalato viste indimenticabili, a pensarci quasi irreali.
Trascorro alcuni giorni nei canyon dello Utah percorrendo le strade nelle gole di Canyonlands. Raggiungo il Grand Canyon e la Monument Valley in Arizona per poi ritrovarmi nella pazza città del gioco, Las Vegas.
A questo punto mi trovo a metà strada, altri 8 mesi e raggiungerò la Terra del Fuoco. Alla moto ho cambiato il terzo treno di gomme e la seconda catena e corone. Per via della molta strada e dell’età della povera macchina, la catena di distribuzione si è allungata e sbattendo sui pattini fa un po’ di rumore.
Altri rumorini anomali accompagnano il canto del motore, speriamo che regga fino alla fine…
Purtroppo in tutta l’America, dall’Alaska alla Terra del Fuoco, gli indiani, i veri nativi di queste terre devono lottare per riaffermare i loro diritti già da troppi secoli calpestati e lungi dall’essere riconosciuti.
Gli statunitensi danno l’impressione di essere “eterni bambini con un sacco di giocattoli per adulti”, idea confermata da un anziano yankee con cui ho un interessante colloquio. Certamente sono molto più efficienti di noi sotto molti aspetti, da queste parti sorprende l’educazione distaccata, la professionalità e l’organizzazione. Negli USA e Canada guidare è estremamente rilassante, gli utenti delle strade hanno capito che la macchina o la moto sono mezzi di trasporto e non mezzi su cui scaricare le proprie frustrazioni quotidiane. Guidano consciamente rispettando gli spazi personali.
Entrando nelle riserve indiane la bella cornice cambia improvvisamente, l’abbondanza che c’è fuori scompare per lasciare spazio alla miseria e all’alcolismo, vero flagello di questi popoli. Ma hanno un grosso “vantaggio”: l’alcol e il fumo tanto osteggiati nel resto del paese per gli ovvi effetti sulla salute qui non sono soggetti ad alcuna imposta…
In California la perfezione statunitense è influenzata dal trambusto messicano. A Los Angeles il caos e il disordine segnalano la vicinanza del confine col Messico.
Basta guardare al di là della frontiera per capire che il Messico è l’opposto degli USA.
Alla dogana sbrigo la prima pratica di importazione temporanea del veicolo, d’ora in avanti a ogni frontiera sarà la stessa procedura.
Il paese dei sombrero è rumoroso, caotico e allegro, si è catapultati in un’altra dimensione. Sono arrivato nel Messico con le sue case coloratissime e tondeggianti. E’ una nazione bizzarra, ricchezza sfrenata vive a fianco alla peggior povertà. La corruzione è a un livello allarmante, se paghi non esistono regole, se sei indigeno ne sei schiacciato, il Chapas ne è l’esempio eclatante. Marcos aumenta ogni giorno i proseliti di estrazione indigena stanchi delle condizioni di vita a cui sono costretti. Per focalizzare il problema questo personaggio si rivolge alla sensibilità dell’opinione pubblica mondiale costringendo il presidente messicano a concedere alcuni piccoli servizi sociali fondamentali.
Il Messico è un paese ricco di storia. Le rovine indigene e i monumenti costruiti dai colonizzatori ne fanno un paese molto interessante e senza dubbio unico.
Il benvenuto in Messico lo danno l’immondizia e il fetore dei cani morti lungo la strada.
La Bassa California è una miscela tra USA e Messico, il vero trambusto comincia appena poso le ruote sul continente. Lo stile di guida dei messicani è piuttosto pericoloso, o guidi come loro o sei spacciato.
Trovare i pezzi di ricambio per la moto sembra un’impresa disperata. Compro due catene ma trovare corona e pignone sembra impossibile.
A Città del Messico trascorro una settimana a casa di un mio carissimo amico. Vive a Iztapalapa, il quartiere più povero del D.F. A bordo del suo Vocho (il maggiolino) scorazziamo per il D.F. e visitiamo alcuni siti archeologici. Avevo conosciuto Gonzalo quando con una ditta italiana ero andato a lavorare in Messico alcuni anni fa.
Per bloccare il traffico di cocaina sono numerosi i posti di blocco dei militari. Vista l’elevata corruzione alla polizia non viene assegnato un compito tanto importante.
Nella giungla del Chapas vivono ancora molti indios nelle capanne. La maggior parte di essi vive vendendo frutta lungo la strada. Tirare la frutta contro i mezzi che transitano sulla strada è il divertimento di molti bambini.
San Cristobal, la vivacità e i colori pastello di questa città segnano la fine del Messico.
Hasta Luego Mexico.
Da adesso viaggerò nei sette paesi che costituiscono il Centro America: Belize, Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica, Panama.
Le frontiere dei paesi centroamericani sono sconvolgenti. Le trafile per l’importazione temporanea del veicolo richiedono molte ore. Lo stesso vale per un semplice timbro sul passaporto, ore di coda tra uno sportello e l’altro. Ovviamente devo pagare sempre un ragazzino che faccia la guardia alla moto se non voglio continuare il viaggio a piedi….. Per evitare tutte le trafile burocratiche ci sono i tramiti, ovvero ragazzini che si occupano di tutte le pratiche in cambio di $ 5 o 10 al massimo.
In soli 10 minuti ho tutti i documenti per proseguire.
Il Belize è il più piccolo ma etnicamente il più vario tra questi paesi. Ci sono cinesi, neri, ispanici e mennoniti di origine tedesca. Il tutto condito da vari incroci tra le diverse razze.
Gli altri sei paesi tra loro hanno stretto un patto di alleanza “dimenticandosi” dello stravagante Belize. La diversità suscita sempre strani timori.
Il Guatemala è il regno delle moto, sono rimasto stupefatto. Rimetto in sesto la mia e compro alcuni pezzi di ricambio che mi garantiscano di raggiungere il Cile dove potrò reperire nuovamente le parti usurate.
El Salvador recentemente è uscito da una sanguinosa guerra civile, speriamo che il futuro sia migliore anche se la sfortuna ha voluto che avvenisse un terremoto nel 2001.
In Honduras e Nicaragua tutt’oggi sono presenti i segni dell’uragano EL Ninio. Con il contributo di paesi stranieri stanno ricostruendo le strade. La natura dei paesi del Centro America è molto simile, vulcani attivi e palme lungo una sottile striscia di terra che unisce le americhe.
Il Costa Rica è il più sviluppato e tranquillo di tutto il Centro America, si viaggia in tutta serenità. A San Vito ho conosciuto connazionali che si sono trasferiti qui nel dopoguerra, fondando il paesino. Hanno avviato la coltivazione del caffè che gli garantisce alti guadagni.
Raggiungo Panama, l’ultimo dei sette paesi del Centro America.
Nelle vie di Panama City passeggiando assieme ad un americano veniamo assaliti in pieno giorno da un gruppo di rapinatori. Un poliziotto nel tentativo di bloccare i malviventi è stato ferito con un arma da fuoco al ventre. Per un attimo, quando ho visto la pistola puntata su di me ho pensato che fosse il mio turno. Fortunatamente i ladri sono fuggiti e il poliziotto guarirà in 30 giorni. Vengo ricoverato per le botte subite, la polizia recupera i miei documenti. Un passante ha visto i rapinatori togliere i soldi dal mio portafogli e gettarlo in un cassonetto dell’immondizia.
Il viaggio si sta avviando alla conclusione, sono arrivato in Sud America e precisamente a Quito nella capitale dell’Ecuador. Sono le Ande a darmi il benvenuto nell’America latina.
Raggiungo il campo base del Chimborazo, un vulcano inattivo coperto di neve. La strada procede con un continuo sali e scendi superando quote di 5000 metri sul livello del mare. L’altitudine non da grossi problemi alla moto a parte il fatto che riduce la sua potenza a quella di un ciclomotore.
Il carnevale qui si festeggia scagliando palloncini pieni d’acqua contro i veicoli che transitano sulla strada. La moto è un bersaglio molto ambito.
Allo scopo di bloccare l’esercito durante la rivolta indigena, lungo le strade c’erano carcasse di bus, di macchine, scavi, sabbia, pietre e alberi abbattuti che hanno reso la strada molto pericolosa.
Il fango della foresta Amazzonica in Perù sembrava volesse inghiottirmi, per fare 400 chilometri ho impiegato quasi cinque giorni.
Numerosi guadi, ponti traballanti e pozzanghere rendono la strada molto impegnativa. Due cadute sono ancora una buona media viste le difficoltà del percorso.
Nella foresta vivono molti indigeni nelle capanne. Le piantagioni di coca rendono il tragitto pericoloso. Molti sono gli accampamenti dei militari dislocati lungo il cammino. I guerriglieri solitamente sfruttano i fiumi per trasportare la coca fino all’oceano Atlantico.
Ritorno sulle Ande, i pascoli di Lama sono numerosi. Solitamente sono gli uomini o i bambini a portare le bestie al pascolo, le donne con la lana ricavata dai Lama realizzano vestiti ottimi per l’inverno a quelle altezze. A 4018 metri sul livello del mare transita la ferrovia più alta del mondo. Lenti treni a gasolio ascendono lentamente i pendii dell’imponente catena montuosa.
In Perù ho boicottato il Machu Picchu, pagare $60 per vedere alcune pietre sepolte da un orda di turisti non mi sembrava il caso. Poi, le decantate rovine mi avevano già stufato prima della partenza. Sapete….. uno di quei posti che devi andare per forza perché tutti ne parlano, perché ne hanno sentito parlare. Anzi, Vi dirò di più, Cuzco architettonicamente è interessante ma resa invivibile dal turismo di massa, se andrete capirete. Sono strano? Sono scemo? Sono cosi!
La Bolivia è selvaggia come me, bastano pochi chilometri per rendersene conto.
La Paz, la capitale più alta del mondo mi è apparsa dall’alto di un altipiano adagiata sul fondo di una valle a circa 4000 metri di altitudine, lasciandomi senza respiro.
Il tempo è inclemente, piove spesso, è piena estate ma lo chiamano l’inverno boliviano per via delle piogge incessanti. Nei villaggi mi offrono spesso e volentieri delle tisane che solo dopo alcuni giorni realizzo siano infusi di coca. E’ di abitudine masticare continuamente foglie di coca che danno energia a quote molto elevate.
Un altipiano che scorre a 4000 metri mi condurrà al confine col Cile.
Raggiungo i deserti di sale sommersi da un metro d’acqua, inagibili con qualunque mezzo. Negli ultimi 500 chilometri la strada diventa una pista di fango e guadi da superare. La zona e’ disabitata, i pochi villaggi sono di case fatte con paglia e fango. Non esiste la corrente elettrica, usano i generatori a benzina per la sera.
Non ho benzina a sufficienza per raggiungere il Cile, i distributori non esistono in una zona tanto desolata. Nei villaggi alcuni ne conservano per le emergenze ed è possibile rifornirsi di pochi litri a delle cifre paurose.
La strada che percorro non è segnata neppure sulle mappe ma la gente mi conferma che porta al Cile. La frontiera situata a 4600 metri d’altitudine regala un panorama unico dell’altipiano Boliviano.
Il Cile l’ho apprezzato parecchio, dal desertico nord fino al “nordico” sud.
La terra del rame, il principale esportatore mondiale di questo metallo.
I paesaggi offerti sono una peculiarità che probabilmente nessun altro paese al mondo può offrire, un vero gioiello.
Il Cile è una sottile striscia di terra tra mare e Ande. Per migliaia di chilometri una sola strada percorre il Cile da Nord a Sud. La costa a fiordi del Sud costringe il percorso ad un continuo Zig Zag tra Argentina e Cile. Nel periodo estivo ci sono i traghetti per evitare l’ingresso in Argentina.
Una figura caratteristica del Cile sono i “carabineros” , impegnati continuamente a vigilare.
Spesso mi hanno controllato i documenti comportandosi correttamente, professionalmente e senza arroganza. In altri paesi alcune volte ho dovuto trattare o “maltrattare” con poliziotti che volevano soldi o oggetti miei. Non so se per bravura o furbizia ma li ho lasciati sempre a mani vuote.
Entro ed esco dal Cile per tre volte e raggiungo la Patagonia. La temperatura è scesa di molti gradi, sono vicino alla meta.
Percorro la mitica Ruta 40, una strada sterrata semideserta. Il vento della Patagonia non facilita le cose. Sbando molte volte rischiando di cadere. Non sono proprio solo, lungo la strada incontro lama, nandù, armadilli, e i conigli della Patagonia. Nel bel mezzo di niente si strappa la catena e frantuma il copri pignone. Uso il mio ultimo ricambio per la “bestia”, monto catena, corona e pignone nuovi. Ho impiegato più di due ore per fare il lavoro, il vento forte alzava molta polvere e faceva cadere la moto per terra, in quel arco di tempo non è passata neanche una macchina.
Trascorro due giorni a El Calafate per godermi lo spettacolo del ghiacciaio Perito Moreno, una delle meraviglie del Sud America. Enormi pezzi di ghiaccio staccandosi precipitano nel lago alzando onde impressionanti.
Rientro in Cile per visitare El Chalten dove imperano i monti Fitz Roy e Cerro Torre.
Trascorro alcuni giorni al parco Torres del Paine dormendo in un rifugio abbandonato in compagnia di una famiglia di topi. La mia cena a base di fagioli e carne attira la curiosità di una puzzola che aspetta invano che avanzi qualcosa.
La situazione economica argentina oggi è disastrosa nonostante la ricchezza di materie prime tra cui enormi giacimenti di petrolio.
Attraverso lo stretto di Magellano e sono in Terra del Fuoco, metà cilena e metà argentina. E’ coperto di neve un passo di pochi metri per raggiungere Ushuaia, Fin del Mundo, il punto più a sud che si possa raggiungere via terra. Trascorro alcuni giorni in Terra del Fuoco, mi accampo nel parco godendomi la meta tanto sospirata, l’obiettivo è raggiunto, ora devo raggiungere Buenos Aires da dove tornerò a casa.
A Pochi chilometri dalla capitale la moto ha un problema alla frizione. Mi accampo, smonto il carter e realizzo che la boccola della frizione si è fusa saldandosi all’albero del cambio. Percorro alcuni chilometri cambiando senza frizione, raggiungo una città dove trovo un meccanico che mi aiuta a reperire i pezzi danneggiati. In una settimana ho l’occorrente per rimontare la moto.
Raggiungo Buenos Aires, 85000 chilometri percorsi su 3 continenti.
Sarò ospitato a casa di un mio cugino emigrato in Argentina sessanta anni fa. E’ stata una bella sorpresa anche per lui vedermi arrivare in sella ad una moto invece che su un comodo aereo.
Ho appena terminato il viaggio ma penso già di ripartire per una nuova avventura, magari in bicicletta……